Felicità dell’angoscia. Goethe verso Manzoni, Manzoni verso Goethe
Abstract
Nonostante il dialogo a distanza tra Goethe e Manzoni sia stato discusso in molti modi (dalla ricognizione dei dati positivi all’intertestualità), l’orizzonte critico appare piuttosto spoglio. Il contributo prende le mosse dal 1827, quando esce a Jena la silloge delle Opere manzoniane a cura di Goethe: il quale tuttavia avanza le note riserve sulle «escrescenze» storiche. Manzoni reagisce con freddezza; v’è un forte squilibrio tra le carte ove si riversa l’apprezzamento del «maestro» e quelle, ben più esigue, che attestano il feed-back dell’«allievo». Peraltro un’analisi delle tragedie manzoniane ci indica l’Egmont come modello segreto: malgrado le differenze di riferimenti storici, rapporti di forza e motivazioni di fondo. Nelle Conversazioni Goethe aveva elaborato un’“estetica della paura”, ravvisando in Manzoni una forma di angoscia legata al male fisico più che all’inquietudine morale: un’idea che ci interroga sulle sovrastrutture e sui pregiudizi che spesso segnano l’interpretazione dei Promessi sposi.
Riferimenti bibliografici
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